La mia Venice Marathon: pioggia, vento e sangue nelle vene

Inizio a raccontarvi la mia prima, indimenticabile, Venicemarathon parafrasando il testo di una canzone di Jovanotti, “Tensione evolutiva” (2013).

Ci vuole pioggia, vento e sangue nelle vene. E una ragione per vivere, per sollevare le palpebre, e non restare a compiangermi, e innamorarmi ogni giorno, ogni ora, ogni giorno, ogni ora di più.

Jovanotti nel suo pezzo parla di come l’uomo si sia evoluto nel corso del tempo, ma anche di come il progresso e l’evoluzione non siano stati sufficienti a renderlo bastevole a se stesso. Se non soffiasse forte il vento, a spostare le nuvole di pioggia sopra le nostre teste, non potremmo vivere. Perché “nessun uomo si disseta ingoiando la saliva”. Per cui nulla saremmo, senza la potenza incontrollata della natura e l’impatto dirompente delle emozioni.

E proprio la pioggia, l’acqua, il vento, le emozioni sono stati protagonisti assoluti di questa stupenda domenica di fine ottobre. Una giornata che mi resterà per sempre scolpita nella memoria, e nel cuore.

Questa maratona pensavo di correrla insieme al mio amico Giovanni, supportandolo nella sua prima esperienza sui 42,195. Ma, a due settimane dalla gara, il vento cambia. Scrivo a Julia Jones, coordinatrice del servizio pacemakers. Caso vuole che, proprio quella mattina, un ragazzo del gruppo abbia dovuto dare forfait. Capito al posto giusto nel momento giusto perché, con mia grande sorpresa, Julia mi propone di essere pacer! Sono sorpreso, felice e onorato. Il compito che mi attende non sarà dei più semplici, perché dovrò tenere le tre ore e mezza. E’ un tempo che sento essere nelle mie corde, ma farlo da pacer è tutta un’altra storia. Sarà la mia seconda volta con i palloncini in maratona, dopo la Maratona di Roma dell’8 aprile, in cui ho portato il gruppo delle quattro ore e quindici.

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I pacers della Venicemarathon 2018

Probabilmente già saprete qual è il ruolo del pacer, o pacemaker che dir si voglia. Il pacer è colui che accompagna i runner che vogliono finire la gara in un tempo prestabilito (quello indicato accanto ai nomi nell’elenco sopra), ma soprattutto è colui che li aiuta, li incoraggia, li motiva, li protegge, li fa sorridere e divertire, durante tutta la gara. E’, in pratica, una sorta di “angelo custode” del maratoneta, o aspirante tale. Il pacer non corre per se stesso, corre per gli altri. Cosa che io amo particolarmente fare, anche quando non sono investito “ufficialmente” di questa carica. Va da sé che, a Venezia il 28 ottobre, avrò una responsabilità importante.

Il sabato arrivo in treno a Mestre, e da lì mi fiondo in expo, al Parco San Giuliano. Quando arrivo al nostro stand, trovo tanti amici, con i quali ho già condiviso la mia prima esperienza da pacer. Marco, Alessandro, Aldo, Mariella, Sabrina, Massimo, Ilaria. Trovo saluti affettuosi, baci, abbracci, vibrazioni positive. Conosco Julia, è una donna molto carismatica, energica, di poche parole. Fa il suo lavoro con passione e sa farsi ascoltare. Siamo un bel gruppo, l’atmosfera è quella giusta. Siamo tutti pronti per una grandissima gara.

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Il gruppo dei pacers della Venicemarathon 2018, al Parco San Guliano di Mestre (VE)

Molti di noi pernottano nello stesso hotel a Mestre, si cena tutti insieme, c’è una grande allegria con il solito Mannucci a regalarci le sue perle, e ad immortalare tutto con l’immancabile GoPro. Divido la camera con Michele, grandissimo atleta, che sarà pacer delle tre ore. Grandissimo e – aggiungo – paziente, perché ancora non sa che io la mattina della maratona uso monopolizzare il bagno…

E’ l’alba del 28 ottobre, si capisce subito che il meteo non sarà dalla nostra. Il vento soffia forte, dalla finestra scorgiamo le chiome degli alberi muoversi freneticamente. Ancora non piove, ma lo farà. Il cielo non promette nulla di buono. Raggiungiamo Stra, luogo della partenza, in pullman.

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In pullman con Marco e Massimo

Arrivati a Stra inizia a cadere una pioggia battente, per fortuna abbiamo un tendone dove poterci cambiare all’asciutto e indossare i nostri palloncini. Sembra non volerne sapere di smettere, eppure di lì a poco un illusorio, effimero sole fa capolino, ad illuminare la splendida Villa Pisani che quest’anno ospita la zona di partenza.

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Il gruppo dei pacers al completo prima della partenza

In questa avventura sarò insieme a Fabio e Pier Giorgio. Fabio è un veterano, un pacer esperto alla sua nona Venicemarathon. Pier Giorgio è un triatleta, corre le maratone sotto le tre ore ed oggi è alla sua prima esperienza da pacer. Mi sento parte di un grande team!

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Insieme a Pier Giorgio (a sinistra) e Fabio (a destra), il trio dei pacers delle 3h30

Entriamo in griglia, iniziamo a scaldarci con l’attacco di chitarra di Slash in “Sweet child of mine”. Da brividi, mai fatto un ingresso in griglia così! Saluto Claudio, non ha avuto un periodo facile ultimamente, ma nonostante tutto è qui e proverà a fare la sua gara. Lo start si avvicina e, preceduto dall’inno nazionale, arriva puntuale alle 9:20.

La mia Venicemarathon è iniziata!

E’ Fabio a dettare il ritmo, io e Pier Giorgio abbiamo meno esperienza di lui e giustamente scegliamo di affidarci. Corriamo bene, allineati ma non troppo per evitare di fare da “tappo” a chi arriva da dietro, ci dividiamo i compiti ed i ristori, in modo che a turno uno di noi provveda per tutti. La strategia è quella di arrivare al passaggio della mezza con un minuto di anticipo rispetto al previsto. Fabio conosce bene il percorso e sa che la seconda metà di gara, con il passaggio nel parco, il Ponte della Libertà, ed i quattordici ponti finali, è assai più insidiosa della prima. Proviamo quindi a mettere del “fieno in cascina”, partendo un po’ più forte del ritmo gara che dovremmo tenere (4’58″/km).

Si corre lungo la riviera del Brenta e, da subito, spira un forte vento contrario. Io, Fabio e Pier facciamo da schermo al nostro gruppo, che già in avvio è molto nutrito, invitando tutti a correre “coperti” dietro di noi, per non sprecare energie inutili nei primi kilometri.

Passiamo dal primo paese, Flesso d’Artico, al secondo kilometro. Poi Dolo al sesto, Mira all’undicesimo, Oriago al quindicesimo, Malcontenta al diciannovesimo. Il passaggio per questi piccoli centri abitati aiuta molto, perché consente di creare dei “mini-traguardi” che “ingannano” la mente al punto da accorciare, almeno idealmente, la distanza da percorrere.

Una cosa che mi stupisce molto favorevolmente è il calore e la partecipazione che troviamo. Sono sincero, tra le maratone corse in Italia non mi era mai capitato un pubblico simile. Numeroso, attivo, allegro, festoso, energico. Sembra quasi di correre una maratona oltreconfine. Sono lì per noi, e non per caso. Il loro supporto, in una giornata del genere, è fondamentale.

Il passaggio alla mezza è alle porte di Marghera e questo, senza dubbio, è il passaggio meno bello e suggestivo di tutta la gara, tra cavalcavia, fabbriche e capannoni industriali. Il mio Polar Vantage V recita un’ora, quarantatré minuti, cinquantacinque secondi. Come da programma, abbiamo un minuto di vantaggio sul passaggio atteso. La gente ci segue, il fieno c’è. Ci servirà, e non poco.

Dopo la mezza, entriamo a Marghera e subito a seguire, al termine di un sottopasso pedonale, a Mestre. Qui c’è l’altra grande novità di questa edizione della Venicemarathon, ovvero il passaggio all’interno del M9, il nuovissimo museo del novecento multimediale.

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Il punto di passaggio all’interno del Museo M9, a Mestre

Appena fuori, curva stretta a destra e la gente, numerosa e festante, a salutare il nostro passaggio. Siamo al kilometro venticinque. Stiamo correndo benissimo, siamo ormai assestati sul giusto passo. Il trio funziona e comunichiamo bene tra noi. Il gruppo c’è.

Al kilometro ventinove, appena fuori da Mestre, entriamo nel Parco San Giuliano, percorrendo un cavalcavia che, arrivati a questo punto, rischia di pesare sulle gambe. Qui inizia la prima delle tre maggiori insidie della Venicemarathon, fatta di un piccolo sentiero che si snoda tra curve strette, e vento che soffia forte. E’ proprio qui che, affrontando una curva a gomito, i miei palloncini si agganciano ad un lampione e volano via.

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Il passaggio nel Parco San Giuliano, a Mestre. I palloncini sono volati via.

Oggi, il percorso nel Parco è un po’ più lungo. L’acqua alta prevista in Piazza San Marco ha infatti obbligato gli organizzatori a switchare sul “percorso B”, a scapito del passaggio più suggestivo dell’intera Venicemarathon. Quello, appunto, nella meravigliosa Piazza San Marco, simbolo, con il suo Leone, della città lagunare che tutto il mondo ci invidia.

Usciamo dal Parco e, tramite un cavalcavia, arriviamo al kilometro trentaquattro al lunghissimo Ponte della Libertà, seconda delle tre insidie preannunciate. Il perché lo scopriamo subito. La laguna, il punto di arrivo, si scorge visivamente appena un po’ più in là, anche se non troppo, complice una leggera foschia. Eppure, dista ancora nove kilometri. E arrivarci non sarà semplicissimo perché, su quel Ponte, il vento inizia ad essere non solo contrario, ma anche abbastanza incazzato. Come se non bastasse, inizia anche a piovere copiosamente.

Perdiamo qualche secondo al kilometro sul passo gara, ma era previsto. Incoraggio tutti i runner al seguito, li invito a respirare, a recuperare dove si può, a concentrarsi su pensieri positivi. Siamo arrivati fin qui, insieme, e dobbiamo arrivare al traguardo, insieme.

Fabio mi si avvicina, mi dice che vuole allungare e correre qualche decina di metri più in là, per dare un riferimento e un supporto anche al gruppo davanti a noi. Ci disponiamo in questo modo, Fabio avanti e dietro rimaniamo io e Pier. Ad un certo punto sento chiamarmi. E’ Daniele, incontro ormai usuale per me. Ci scambiamo qualche parola, lo incoraggio a tenere duro e a proseguire con noi.

Il tratto sul Ponte è una lotta. Con la testa e con le gambe, che fanno il triplo dello sforzo a mantenere il passo giusto, frenate come sono dal vento e dalla fatica. Questa lotta la vinciamo noi. Perché al kilometro trentotto scendiamo giù dal Ponte, passando sul Canale Colombola, e ci ricompattiamo con Fabio. Purtroppo, di lì a poco Pier è costretto a fermarsi e rallentare per un problema alla schiena, nonostante il quale aveva corso egregiamente sin lì. Rimaniamo in due.

Ora il più sembra fatto, anche se portare a casa gli ultimi kilometri di una maratona non è mai scontato, e ci sono pur sempre i quattordici ponti ad attenderci in laguna, terza e (apparentemente) ultima insidia di questa Venicemarathon. Dico “apparantemente” perché, dopo aver superato Santa Marta ed il Canale di Scomenzera, quello che appare davanti ai nostri occhi è sorprendente.

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La corsa nell’acqua alta in laguna

L’acqua alta, inizialmente prevista solo in Piazza San Marco, in realtà ha interessato tutta la laguna. Questo significa che gli ultimi due kilometri della Venicemarathon saranno da “correre” interamente a mollo, con il livello dell’acqua variabile tra caviglie e ginocchia.

La prima cosa che mi viene in mente è: “Ok. Basta. La gara finisce qui, liberi tutti. Non si può correre in queste condizioni, camminerò fino al traguardo e amen”. Inizio a camminare, ma la resa dura poco. Perché io sono lì per chiudere la maratona in tre ore e mezza. Io sono lì per gli altri, per aiutarli il più possibile. Io devo dare l’esempio, e lo farò.

Riprendo a correre. La strategia è quella di trovare un nuovo assetto, non si può correre normalmente con tutta quell’acqua. Ci vuole la freschezza fisica per spingere alzando le ginocchia, ma ci vuole anche un “trip mentale” che aiuti a superare il momento di difficoltà. I ponti da attraversare sono quattordici? Bene. Quattordici mini-traguardi prima di quello definitivo, all’Arsenale.

Paradossalmente i ponti, che dovevano costituire la difficoltà principale degli ultimi due kilometri, diventano preziosi alleati perché rappresentano l’unica superficie asciutta su cui passare. Meraviglioso il ponte galleggiante di barche, allestito apposta per l’occasione, che ci consente di attraversare “dritto per dritto” il Canal Grande.

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Il passaggio sul ponte galleggiante del Canal Grande

Corro così insieme a Fabio, riuscendo incredibilmente a tenere il passo giusto. Superiamo i Giardini Reali, intravediamo Piazza San Marco alla nostra sinistra, poi via per altri sette ponti, uno dietro l’altro. Fino ad arrivare lì, al rettilineo d’arrivo, su Riva dei sette martiri. Affianco un ragazzo, Luca, sta spingendo con tutto quello che gli è rimasto. Ci diamo il cinque in corsa, gli urlo dietro come un matto, dando sfogo a tutta l’adrenalina che ho in corpo.

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L’arrivo con Luca in Riva dei sette martiri

Passiamo il traguardo, ce l’abbiamo fatta. Tre ore, trenta minuti, trentuno secondi. La gioia di aver chiuso una gara così, in queste condizioni, di averla finita in tempo, mi fa commuovere. Mi viene incontro Claudio, siamo arrivati insieme, la sua gara non è andata come voleva. Mi cerca, forse per un abbraccio, ma l’unica cosa che riesco a fare è dargli un cinque fortissimo, a momenti gli stacco il braccio. Poco dopo il traguardo incontro Julia, la ringrazio con la voce rotta dall’emozione, una lacrimuccia scende, incredibilmente, anche a lei.

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Medagliato e felice

Mi guardo intorno, e vedo solo volti felici e sorridenti. I volti della soddisfazione di chi ce l’ha fatta, a terminare una Venicemarathon epica, che resterà negli annali. Una gara corsa con la testa, con le gambe, ma soprattutto con tantissimo cuore. Jovanotti dice “pioggia, vento, e sangue nelle vene”. Beh, oggi forse con i primi due si è esagerato un tantino… ma il sangue scorre forte nelle vene, e mi accelera i battiti, anche adesso, mentre vi scrivo. Anche al solo ricordo, di questa esperienza piena e meravigliosa.

Grazie, Venezia. Per la pioggia, l’acqua, il vento, le emozioni. E arrivederci al prossimo anno.

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Birra, medaglia, e Polar Vantage V a ricordarmi di avercela fatta… what else?
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La bellissima medaglia della 33° Huawei Venicemarathon

Ora, finito di scrivere, e di raccontarvi questa esperienza unica, vado di là a preparare la borsa. Perché domani è già tempo di ripartire. Mi aspettano Nizza, e la Costa Azzurra, da cui intraprenderò un viaggio di quarantadue kilometri (e centonovantacinque metri) che mi porterà a Cannes, città del mare, del sole (spero) e del cinema. Non vedo l’ora di essere lì, per vivere, e poi raccontarvi, di altre, meravigliose, emozioni. Buone corse a voi!

3 commenti Aggiungi il tuo

  1. Attilio ha detto:

    Grazie per la bellissima cronaca. C’ero anche io e ho adorato i 14 ponti. In una prossima occasione saranno sempre e comunque mini traguardi e non ostacoli 😁

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