Cù pati p’amuri, un senti duluri!

Il titolo della storia di oggi richiama un detto popolare siciliano, uscito dalla bocca di Gabriele, receptionist dell’Antica Stazione di Chiaramonte Gulfi, dove ho pernottato la notte tra sabato 3 e domenica 4 agosto. A Gabriele dicevo che, come tanti altri ospiti dell’albergo, ero lì per correre la Maratona alla Filippide, che sarebbe partita l’indomani mattina alle 4.30, proprio da quell’albergo, e che mi avrebbe portato sulla spiaggia di Punta Secca, sotto casa del Commissario Montalbano. Pensavo già che Gabriele, come tanti altri “non addetti ai lavori”, si sarebbe lanciato in un prevedibilissimo “Ma chi ve lo fa fare??” di risposta. E invece, lui mi stupisce, e mi fa:

Cù pati p’amuri, un senti duluri!

Che significa, appunto: “Chi soffre per amore, non patisce dolore“. Gabriele mi ha fatto pensare che sì, noi maratoneti siamo un po’ sadomasochisti. Nelle sveglie all’alba, nei numerosi viaggi talvolta anche disagevoli, nei tanti kilometri percorsi, nel sopportare il dolore a volte, nel non abbandonarci in maniera smodata a tanti vizi. Tutto questo, però, lo facciamo per amore. Per amore della corsa, di questo sport che ci fa stare così bene, di questo gesto che ci restituisce più gioia di quanto fastidio o dolore possa mai provocarci.

Ed è proprio per questo amore, per la voglia di misurarmi su una maratona particolare e mai provata prima, per la passione che ho per il viaggio e la scoperta, che decido di partire per questa nuova avventura che vi vado a raccontare.

La Maratona alla Filippide è una maratona in linea, il che significa che il percorso traccia una linea più o meno retta, che parte da un punto A e arriva ad un punto B. Amo i percorsi in linea, perché sono gli unici che connotano la Maratona come “viaggio”.

Il “punto A”, la partenza, è a Chiaramonte Gulfi, paesino in provincia di Ragusa a circa 800 metri di altitudine. E’ soprannominato il Balcone di Sicilia per la posizione panoramica, con vista che va da Gela all’Etna, la valle dell’Ippari e i suoi paesi (Comiso, Vittoria, Acate) e le dorsali degli Erei fino a Caltagirone, oltre al mare e ai monti Iblei. Questa foto, che ho scattato sabato sera, dovrebbe rendere l’idea…

Chiaramonte Gulfi

Il “punto B”, l’arrivo, è davanti la casa del commissario Montalbano a Punta Secca, piccolo borgo marinaro frazione di Santa Croce Camerina, sempre in provincia di Ragusa.

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La casa di Montalbano

Tra “punto A” e “punto B”, vanno corsi quarantadue kilometri e centonovantacinque metri tra chiuse, muretti a secco e masserie, con affaccio in lontananza sulle “cave”, tipici canyon rocciosi, vere insenature a forra boschiva, caratteristiche di questa zona della Sicilia. Il “viaggio” prevede anche un passaggio nel Castello di Donnafugata, un sontuoso maniero baronale che porta subito alla mente le ambientazioni de “II Gattopardo”. Scendendo poi verso il mare il paesaggio cambia, colorandosi delle note calde e dei profumi intensi di terra rossa, ulivi e carrubi, che riempiono quasi come un bosco le vaste tenute del feudo di Donnafugata. Fino all’arrivo, appunto, sulla spiaggia di Punta Secca.

Ma al di là del meraviglioso percorso, ciò che caratterizza la Maratona alla Filippide è lo spirito con cui va affrontata. Proprio come fece il soldato ateniese 2.500 anni fa, muovendosi da Maratona ad Atene dopo la vittoria sui Persiani, questa maratona va corsa nel pieno rispetto dello “spirito olimpico più puro”, in condizioni di momentaneo isolamento spazio-temporale. Ciò significa che, pena la squalifica, durante la gara non sono ammessi cronometro da polso, cardiofrequenzimetri e altri strumenti di rilevamento temporale, ed il percorso è privo di segnaletica chilometrica, ma solamente provvisto di linee di partenza ed arrivo e delle frecce direzionali per i giusti incroci.

La gara è stupendamente organizzata da Guglielmo Causarano, per tutti “Mimmo“, presidente dell’ASD “No al doping e alla droga” di Ragusa. Mimmo è una persona dal cuore grande come grande è la sua passione per questo movimento, perché altrimenti non si spiegherebbero tutti i sacrifici, le notti in bianco e gli sforzi profusi per questa gara bellissima la cui iscrizione, udite udite, viene fatta pagare appena quindici euro!

Con Mimmo ci sentiamo telefonicamente qualche giorno prima del mio arrivo, la trasferta non è logisticamente semplicissima per me e ho bisogno di organizzarmi bene. Arrivo in aeroporto a Catania sabato mattina e, da lì, ho quasi due ore di autobus per Ragusa. Qui, ho tempo per andare a mangiare al ristorante Tipico, proprio sotto la Chiesa di San Giovanni Battista, che avevo già avuto modo di “testare” per benino a gennaio, in occasione della Maratona di Ragusa. Guardate bene la foto sotto, perché questo è senz’altro il couscous di pesce più buono che abbia mai mangiato!

Il mio favoloso pranzo di sabato

Dopo pranzo, devo prendere un altro autobus per arrivare a Chiaramonte. Soggiorno lì all’Antica Stazione, punto di partenza della manifestazione, qualche kilometro fuori dal paese.

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L’Antica Stazione a Chiaramonte Gulfi

Non è previsto che l’autobus si fermi lì, ma Mimmo fa una telefonata all’autista che, gentilissimo, mi lascia proprio davanti all’albergo. Poi Mimmo mi chiama e mi fa: “Luigi, tu prendi la stanza, riposati un po’, io alle cinque e mezza passo a prenderti e andiamo in paese”. Così faccio, e dopo un paio d’ore lui puntualissimo arriva, proprio nel bel mezzo di un violento acquazzone che, come tutti i temporali estivi, dura poco e rinfresca l’aria.

Andiamo in paese, prendo il mio pettorale, il numero mi piace.

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Il mio pettorale, numero 35!

Il ritiro dei pettorali è a Palazzo Montesano, messo a completa disposizione dell’organizzazione per l’evento. Lì ho l’opportunità di fare un piccolo tour dei musei, in particolare il Museo dell’olio, la casa museo Liberty ed il museo degli strumenti etnico-musicali, tutto a titolo gratuito. Trovo davvero importante che un paese del Sud metta in mostra le proprie virtù in un’occasione del genere, io che da sempre sono un fautore del connubio corsa-turismo. “Se non facciamo così muoriamo”, mi dice Mimmo. Purtroppo, ha ragione.

Siamo appena duecento iscritti alla Maratona, eppure anche qui incontro una faccia nota. E’ Salvo, super-maratoneta siciliano prossimo a raggiungere quota 200, che ho recentemente incrociato in diverse gare, dalla Strasimeno al Passatore, passando per la 50 di Romagna.

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Con Salvo a Palazzo Montesano

La sera rientriamo verso l’albergo e ci fermiamo lì a mangiare una pizza, neanche a dirlo Mimmo non mi fa aprire il portafogli… “Qui siamo in Sicilia”, mi fa. Ed ogni volta che metto piede in questa fantastica isola, capisco una volta di più cosa lui voglia dire.

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A cena con Mimmo e gli altri

Finita la cena, mi dirigo verso la camera e lì cerco di riposare un po’. Essendo la partenza prevista per le 4.30, metto la sveglia alle 3 e spero di addormentarmi rapidamente.

Così non sarà.

Arrivano le tre. Sono operativo, balzo giù dal letto. I rituali pre-gara sono i soliti, solo fa specie perfezionarli a quest’ora e con il buio totale fuori dalla stanza. Scendo per la colazione, prendo giusto un tè caldo e una barretta. Lì conosco Dario e Silvia, Palermitani da Cesenatico, che correranno la terza maratona portando in passeggino la loro piccola Zoe. Lei, che vista l’ora è in piena fase REM, indossa la magliettina dell’associazione “Non ho paura del buio“.

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Con Dario, Silvia e la piccola Zoe

Le 4.30 arrivano rapidamente, ci disponiamo sulla linea di partenza nella strada antistante l’albergo. Fortuna che ieri ha piovuto, perché la temperatura è perfetta, ci saranno sì e no venti gradi. Non altrettanto perfetta è la visibilità, la luna non è particolarmente generosa ed il buio davanti a noi è profondo. Parte il conto alla rovescia di Mimmo, “cinque, quattro, tre, due, uno… VIA!”

Correre senza orologio fa da subito uno strano effetto. In genere dedico i primissimi kilometri di una maratona a trovare il mio ritmo, guardo molto l’orologio anche per capire quanta fatica faccio a tenere un certo passo e, di conseguenza, cosa posso chiedere a me stesso. Oggi invece si corre a sensazione, o meglio “a sentimento” come dicono, più romanticamente, da queste parti.

Non avendo numeri con cui raffrontarmi, mi affido ai miei soliti riferimenti mobili cercando, tra gli altri runner vicini, quelli più o meno in linea con il mio passo. Già dalle prime battute, mi affianco a Marco e Carmelo. Insieme a loro supero la buia SP10 e la zona industriale di Ragusa poi, quando iniziamo a correre tra le due file di muretti a secco, fa capolino il sole e si apre davanti a noi una bellissima alba. Il passo non mi sembra semplicissimo, ma lo tengo bene. Iniziamo a chiacchierare e raccontarci un po’ di noi. Carmelo è siciliano, viene da Gela. Marco invece è pugliese come me, di Taranto. Quest’ultimo mi racconta che fra tre mesi esatti correrà la Maratona di New York, e che a giugno era alla Mezza Maratona di Roma, che ha chiuso in un’ora e ventisei… lì inizio a chiedermi se ho scelto il “cavallo giusto” o se magari ho azzardato un tantino… 🙂

Cerchiamo di mantenere un passo abbastanza costante, sebbene il percorso presenti lunghi tratti di dolce discesa alternati a qualche strappo in salita. Il paesaggio rurale dell’entroterra Ragusano si presenta nervoso e curvilineo, senza tratti in piano, ma questo rende la nostra corsa varia e divertente.

Poco dopo metà gara inizia un tratto di sterrato, che si fa via via più duro, arrivando a presentare un fondo di pietre irregolare quasi in “stile K42“… ciò nonostante, qui vado molto bene. Carmelo si stacca, Marco mi segue a ruota ma con un po’ di fatica. Entriamo nel cortile del castello di Donnafugata, di Gattopardiana memoria, un passaggio davvero suggestivo che mi carica e mi aiuta a spingere.

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Il passaggio nel cortile del castello di Donnafugata, dietro di me Marco (foto Alessio Grasso)

Io e Marco continuiamo a correre insieme e ci aiutiamo molto, a volte guida lui, a volte io, ricompattandoci sempre ai ristori che comunque affrontiamo rapidamente e senza banchettare come sono solito fare. Oggi sto davvero bene, e sento che posso chiuderla al meglio delle mie possibilità.

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Uscita dal castello di Donnafugata (foto Elena Piera Ripamonti)

Superiamo una bella discesa, ci avviamo verso Santa Croce Camerina, il mare si inizia a distinguere bene all’orizzonte, mi rendo conto che ci siamo quasi. Inizio a chiedere ai volontari dei ristori quanto manca, troppo difficile non cedere alla tentazione. “Siamo a cinque-sei kilometri dall’arrivo”, mi dicono, è il momento di dare tutto quello che è rimasto.

Marco ne ha più di me, allunga, provo a stargli dietro ma inizia a prendere metri. Io vado comunque bene, e supero diversi concorrenti in difficoltà. Il sole si alza, l’aria si fa via via più calda. Arriviamo a Punta Secca, il mare è lì. Lo vedo, quasi lo tocco, ne sento il profumo. Rimane da percorrere l’ultimo pezzo, sulla spiaggia. Dopo quarantadue kilometri sulle gambe è dura, ma è l’ultimo sforzo. Ecco la casa di Montalbano.

Gli ultimi metri in spiaggia, a Punta Secca (foto Alessio Grasso)

Arrivo, taglio il traguardo, sento il calore della gente. E’ stranissimo, non sono neanche le otto del mattino ed io ho appena finito di correre una maratona. Ritrovo Marco, arrivato poco prima di me, ci diamo il cinque. Abbiamo fatto davvero una bella gara insieme. Poco dopo arriva anche Carmelo. Mi fiondo al buffet del ristoro, c’è della frutta buonissima. Bevo, vado al bar lì accanto, mangio una strepitosa granita alla mandorla.

Ho corso una bella gara, eppure ancora non conosco il mio tempo finale, né ho ansia di conoscerlo. Poco dopo attaccano le classifiche, mi affaccio, sono arrivato diciassettesimo assoluto con il tempo di tre ore, diciotto minuti, zero secondi. Strabuzzo gli occhi, stento a crederci. Sicuramente sono stato aiutato dal percorso e da una giornata fortunata, eppure non mi aspettavo minimamente di abbassare di più di sette minuti il mio attuale miglior tempo sulla distanza. Non do mai troppa importanza al tempo finale, lo considero un dettaglio, un mero parametro di riferimento. In genere è un dato, un numero. E’ asettico, non trasmette emozioni. Eppure, oggi questo numero mi rende felice.

Tre ore e diciotto minuti, diciassettesimo assoluto

Davanti a me il mare, quelle acque dove il commissario Montalbano è solito nuotare, è limpido, stupendo. Il tuffo è d’obbligo.

La spiaggia di Punta Secca

Esco dall’acqua, mi asciugo al sole. Saluto tutti, promettendo di tornare l’anno prossimo, magari con un nutrito gruppo di amici da Roma. Mi accompagnano a Marina di Ragusa, da dove nel pomeriggio prenderò l’autobus per l’aeroporto di Catania. Durante il tragitto conosco Nadia, da Rimini, un po’ più giovane di me, che ha già corso più di cento maratone e ultramaratone. Rimaniamo un po’ in spiaggia e chiacchierando il tempo passa veloce.

Prendo il mio autobus, arrivo a Catania, sapevo di avere un po’ di attesa in aeroporto ma il mio volo è in ritardo di due ore, dovrò aspettare ancora parecchio. Inganno l’attesa mangiando dei buonissimi arancini al pistacchio, e inizio a metabolizzare le emozioni di questo bellissimo weekend. Due giorni che mi resteranno nel cuore e che mi hanno fatto apprezzare, una volta di più, questa terra meravigliosa. Che mi hanno fatto capire, una volta di più, quanta importanza abbiano nelle relazioni umane il calore, la generosità, l’accoglienza, l’altruismo, la passione.

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Medagliato e contento! (foto Angelo Grasso)
La bellissima medaglia in terracotta

Arrivo a Roma all’una di notte, mi metterò a letto alle tre. Esattamente ventiquattr’ore dopo essermi alzato, a mille kilometri di distanza. Ora è tempo di riposare, presto sarà tempo di raccontare.

E di pianificare. La prossima avventura sarà in Polonia, tra una settimana. Passerò i quattro giorni a cavallo di Ferragosto zaino in spalla, percorrendo parecchi kilometri sui treni polacchi per andare a correrne quarantadue e spicci al nord, verso Danzica, sul mar Baltico. Inutile dire che, anche in questa occasione, sarete con me.

Chiudo con una piccola “storia nella storia”. Purtroppo la mia cricetina, la piccola Margaret, è morta poche ore prima della mia partenza per la Sicilia. E’ stata una perdita dolorosa per me, da un anno a questa parte lei era l’unica ad accogliermi al mio rientro in casa. Con le sue acrobazie, i suoi movimenti rapidi, i suoi baffetti curiosi. Si affacciava dalla gabbietta per venirmi a salutare e cercare un po’ di coccole. Ho pensato tanto a lei durante la gara, posso dire di averla corsa e onorata al meglio anche per lei. Poi, alla fine, guardo la classifica, vedo il nome della prima donna classificata (andate un po’ alla riga 11 nella foto sotto) e penso come questa vita, a volte, voglia davvero comunicarci qualcosa…

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9 commenti Aggiungi il tuo

  1. Rosario ha detto:

    Bellissimo il tuo racconto, anch’io ho corso domenica la filippide vivendo le tue stesse emozioni, ma arrivando 30 minuti dopo.

    1. Luigi Villanova ha detto:

      Grazie Rosario, sono contento che anche tu ti sia ritrovato nella mia storia… una maratona senza tempo e ricca di fascino, un’esperienza da rivivere.

  2. pasquale ha detto:

    Ho corso l’ediione 2017. Spero anchìo di tornare sull’oriinale percorso da Chiaramonte Gulfi al mare

  3. Luisa ha detto:

    Bellissimo, mi piacerebbe essere della partita l’anno prossimo…

    1. Luigi Villanova ha detto:

      Io non mancherò senz’altro! 😊

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